Libri

IL SAPORE DELLE SORBE Vissuti di guerra dal 1917-1945
Autrice
Cinzia M. Adriana Proietti
Casa editrice
Anno di pubblicazione
2021
Trama
La vita in trincea raccontata da Giuseppe Spitoni un uomo che ha vissuto le due Grandi Guerre. Testimonianze scritte durante la prigionia e lasciate ai suoi figli, Gianna e Fausto, che hanno vissuto lo sfollamento. Agli eventi funesti s’intrecciano incontri casuali, nuove amicizie e veri amori. Ricordi rimasti aggrappati alle loro anime, impresse nelle loro menti. Riflessioni di chi ha vissuto atrocità e violenze. Uomini, donne e famiglie protagonisti in prima linea di una storia che a volte troppo spesso dimentichiamo. Semplici parole descrivono momenti tragici e di speranze mai abbandonate di chi ha subito violenze, fame, paura di non farcela, di chi ha lasciato tutto, di chi ha vissuto forti esperienze e incrociato nuove strade per ricominciare. Il racconto inizia nel gennaio del 1917 e l’esperienza della guerra si ripete nel 1943. La forza d’animo e il coraggio di rialzarsi prevalgono su tutto, anche su due guerre.
Prefazione – a cura di Ferruccio Fabilli, scrittore, saggista e giornalista
Iniziando la lettura del romanzo di Cinzia Maria Adriana Proietti, Il Sapore delle sorbe (Gambini Editore), condivisi le stesse sensazioni dello scrittore inglese Ian McEwan quando aprì il romanzo Stoner: “Appena lo inizi a leggere sentii di essere in buone mani […] di fatto è una vita minima da cui John Williams ha tratto un romanzo davvero molto bello”.
Nel caso della Proietti due sono le vite minime. Quella di Peppe, giovane chiamato al fronte, nella prima guerra mondiale, nel ‘17, classe 1898, diciannovenne; e quella della figlia bambina, Gianna, costretta a crescere in fretta, immersa nell’immane tragedia della seconda guerra mondiale. Allorché, senza più fronti stabili, furono colpite le persone ovunque, fin nella pancia recondita della placida provincia italiana del Centro Italia. Pagine meno note della storia italiana, perché ininfluenti sulle sorti del conflitto, ma cariche di drammi, personali e collettivi. La cui conoscenza giova a costruire il quadro complessivo sulle assurdità delle guerre contemporanee; nelle quali, d’allora in poi, le vittime civili rappresentano, anche nei numeri, la fascia più colpita. Condanne a morte di innocenti, senza processi giuridici preventivi. Questa è la nuda verità sulle guerre odierne. La saga familiare, raccontata a due voci, eleva a dignità letteraria quel mondo che diremo degli umili. Individui e comunità immerse nelle gigantesche tragedie delle due guerre mondiali. Ambientato nella prima metà del Novecento, il romanzo è lega- to dal filo rosso delle relazioni familiari e di comunità, tra i vari coprotagonisti, non disgiunto da sguardi, continui e penetranti, della scrittrice: sulle emozioni interiori individuali, e sulle reazioni della società circostante. Vuoi nel paesaggio infernale del fronte di guerra, vissuto da Peppe, vuoi nelle collettività, piccole o grandi, violentate e sconvolte dai bombardamenti, incombenti sulla piccola Gianna.
Postfazione – a cura di Luciano Lepri, storiografo, saggista, scrittore, critico letterario
Recensioni
RECENSIONE DEL LIBRO “Il sapore delle sorbe. Vissuti di guerra 1917-1945” di Cinzia M. Adriana, Gambini editore
a cura di Giuseppe Bellucci, poeta, pittore, autore
RECENSIONE DEL LIBRO “Il sapore delle sorbe. Vissuti di guerra 1917-1945” di Cinzia M. Adriana, Gambini editore
a cura del Gen. div. Aeronautica Militare Giorgio Baldacci
Mi piace pensare che questo bellissimo romanzo di Cinzia Maria Adriana Proietti, ha reso finalmente felice Giuseppe Spitoni – classe 1898 – e sua figlia Gianna, protagonisti ed ispiratori di questa avvincente storia di vita vissuta nell’Italia delle due guerre mondiali. Giuseppe, per gli amici Peppe, è l’autore di un accurato diario– redatto con mezzi di fortuna – nel quale decise di annotare le sconvolgenti e drammatiche esperienze vissute nella Grande Guerra, nella prigionia sofferta in campo di concentramento e, infine, nel suo fortunoso ritorno a casa. Gianna, la figlia e suocera dell’autrice, è invece la memoria verbale, colei che ha tramandato nei suoi racconti, sempre puntuali e mai prodighi di particolari, la sua avventura di bambina che, insieme alla madre Concettina ed al fratellino Fausto, è chiamata ad affrontare in così tenera età la sconvolgente battaglia per la sopravvivenza quotidiana condotta nella non meno tragica realtà del fronte interno della II guerra Mondiale. Entrambe le storie, sapientemente inanellate in un crescente e coinvolgente pathos narrativo, frutto dell’appassionante sensibilità espressiva dall’autrice, divengono un pregiato caleidoscopio di immagini, situazioni e forti emozioni che rapiscono il lettore e lo inducono ad una progressiva e travolgente immedesimazione nelle vicende descritte. Drammatici eventi e situazioni che, di fatto, accomunano altri milioni di persone, generazioni di italiani, i nostri nonni e genitori che li hanno vissuti e sofferti sperando in un’Italia pacifica e migliore che, oltretutto, hanno dovuto faticosamente e tenacemente ricostruire. Avvenimenti e storie personali che costituiscono le radici della nostra identità nazionale ma che il tempo e, forse, un’erronea percezione della sintesi storica, hanno progressivamente edulcorato, seppellito, cancellato, diluendoli nel peggiore nemico di ogni civiltà, l’oblio del passato, compiendo l’errore di annullarne la memoria e correndo il fatale rischio di ripeterne gli stessi e, forse, ancor più tragici orrori. Il romanzo procede a ritmo serrato, sorretto da descrizioni puntuali, accurate, coerentemente verificate con zelante precisione, offrendo un quadro storicamente, geograficamente, socialmente e anche militarmente aderente alla realtà del tempo e delle situazioni narrate. La I Guerra Mondiale di Peppe – giovanissimo fante proveniente dalle campagne di Massa Martana – è la stessa di quei 5 milioni di coscritti che – affluiti da ogni parte d’Italia – compirono il primo viaggio della vita e, per molti, anche l’ultimo, per affrontare l’atroce carneficina dei campi di battaglia di quell’inutile strage – come la definì Papa Benedetto XV – una tremenda, immane ed insensata apocalisse dell’umanità. Al soldato Peppe la guerra non risparmia nulla, la terrificante esperienza della guerra di trincea – cameratescamente condivisa con l’amico Quinto – solo parzialmente alleviata dai rari turni di riposo nelle retrovie con il “lusso” di un po’ di pane fresco, acquavite, sigarette e persino di un improvvisato postribolo ove consumare un primo quanto fugace amore mercenario, lo sgomento del ritorno in prima linea, il terrore dell’attacco frontale, lo sconcerto della cattura ed infine il durissimo calvario della prigionia. L’alienante sofferenza dell’internamento in tre diversi campi di concentramento, affrontata insieme a tanti altri sventurati come lui ove, comunque, riuscirà a conservare un barlume di umanità, di solidarietà e di amicizia come quella riservata ai due commilitoni Aurelio e Felice, meglio noti con i loro “buffi soprannomi” di “Tascapane” e “Bandoliera”.
Le inique condizioni in cui versano i prigionieri, la sporcizia, le malattie, la fame endemica, le frequenti morti e, ancor più, la disperazione di non farcela, inducono Peppe a continuare la scrittura del suo arrangiato diario per non dimenticare le “assurde atrocità e le sofferenze vissute”. Nell’intera narrazione della guerra c’è solo un momento di pace, di genuino e sereno ritorno alle origini e cioè quello in cui, occasionalmente, si trova al cospetto di un albero di sorbe, molto simile a quello che si ergeva di fronte alla sua casa. Basta solo questo per restituirlo, almeno per un istante, alla normalità, ad un ricordo struggente, caro, certamente vivifico di speranza come pure saranno i due frutti “dei nonni e della pazienza” che deciderà di cogliere e conservare in tasca a mo’ di portafortuna per tutto il resto delle sue drammatiche peripezie. Un prezioso talismano che, alfine, lo sosterrà e lo riporterà a casa, restituendolo alla sua vita e ai tanto agognati affetti familiari. Ecco quindi che alla testimonianza di Peppe si aggiunge quella, non meno appassionante e coinvolgente, della figlia Gianna che dai 7 ai 12 anni visse la sconcertante esperienza della II guerra mondiale. Dall’aulica descrizione del borgo marinaro di Pescara dove viveva con la famiglia e a quella degli anni ’40, magistralmente dipinte dall’autrice, si passa all’intensificazione dei bombardamenti alleati, alla sempre crescente penuria di generi di prima necessità, ai continui e sempre più precari spostamenti che Gianna, la mamma e il fratello Fausto sono costretti a compiere, affrontando rischi e disagi di ogni genere, pur di trovare luoghi più sicuri e lontani dalla guerra che, ormai, coinvolge tutto e tutti senza differenze di sorta. Alla tremenda paura provata il 31 agosto del 1943 a causa del devastante bombardamento aereo di Pescara che li vede fortunatamente salvi, si aggiungono i sempre più stringenti e caotici episodi connessi con gli estenuanti trasferimenti ferroviari da L’Aquila per Terni e poi a Massa Martana, ove il fratello di Peppe – richiamato nei ranghi dell’Esercito quale servente delle batterie contraeree pescaresi – aiuterà la famigliola a trovare un attimo di quiete agreste dopo le tremende peripezie affrontate in quei duri giorni di viaggio. Realtà caratterizzata dall’incombente incertezza del futuro, dal panico delle incursioni aeree alleate e delle frequenti rappresaglie tedesche, dalle inaudite privazioni condotte ai limiti di ogni umana sopportazione ma, comunque, sorrette da una resilienza senza limiti, insolita se non incomprensibile ad un normale lettore dei nostri tempi! Tutto è puntualmente raccontato, documentato, intriso di sensazioni profonde e contagiose che trasmettono le condizioni e lo stato d’animo dei protagonisti come se si assistesse ad un film neorealista, fatto di macerie, di devastazione, di morte ma anche di forza, di coraggio e voglia di rinascita. Con il passaggio del fronte la guerra si sposterà al Nord, a Pescara arriveranno gli americani e, finalmente, Gianna, Concettina e Fausto dopo aver vissuto anche l’esperienza di sfollati, torneranno alla propria casa o a quello che ne resta, ricongiungendosi con Peppe ed affrontando insieme l’ancor più arduo ritorno alla normalità. Anche loro saranno i protagonisti della rinascita e della ricostruzione nazionale. Gente semplice, forse poco erudita ma intrisa di esemplare dirittura morale, senso del dovere e tanta saggezza popolare che ha attraversato sofferenze, lutti e rovine donando i propri migliori anni, se non il bene supremo della vita, per donarci l’Italia pacifica e democratica che viviamo da tanti anni anche se, purtroppo, troppi di noi ignorano, ormai del tutto, il chi, il come e il perché di tutto questo. A Cinzia Maria Adriana Proietti va il merito di avercelo ricordato attraverso il suo avvincente romanzo, alla doviziosa ed appassionata cura con la quale ha saputo parteciparci il diario di Peppe e le inossidabili memorie di sua suocera Gianna, gente dalla schiena dritta, italiani di una volta dalle cui appassionanti storie abbiamo ancora tanto da conoscere, riflettere ed imparare.
A titolo personale, quale militare che ha avuto l’onore di servire in armi il Paese per 45 anni ed è cresciuto nell’esempio di chi lo ha preceduto sia in pace che in guerra, desidero ringraziare l’autrice per aver riservato una dedica agli ex combattenti e ai nostri gloriosi Caduti “che versarono il sangue per difendere le nostre terre e la nostra libertà”. Un omaggio certamente giusto e doveroso che però, purtroppo, sfugge spesso e a molti e, per questo, valorizza ancora di più la sua già bellissima opera.
Amelia, 26 gennaio 2022
Giorgio Baldacci
RECENSIONE DEL LIBRO “Il sapore delle sorbe. Vissuti di guerra 1917-1945” di Cinzia M. Adriana, Gambini editore
a cura di Paolo Baiocco, regista, scenografo, costumista teatrale e autore di testi teatrali
Come un film!
Così l’ho visto, l’ho sentito e me lo sono gustato leggendolo.
Il primo incontro con il SAPORE DELLE SORBE c’è stato quando Cinzia Proietti mi ha invitato alla presentazione a Lugnano in Teverina, e devo dire che mi ha incuriosito, non proprio conquistato, ma certamente incuriosito.
Ho acquistato il libro ed ho incominciato a leggerlo.
A quel punto ho iniziato a “vederlo”; voglio dire che le pagine scritte diventavano immagini vivide, sequenze di un film che, sono convinto, potrebbe e dovrebbe essere tratto da questo romanzo storico, quale è il SAPORE DELLE SORBE.
Immagino che la mia sensazione sia dovuta ad una sorta di deformazione professionale, dal momento che sono regista, ma devo riconoscere che il merito va per intero alla sua autrice; quello che Cinzia Proietti non ha potuto fare con la presentazione durante l’incontro a Lugnano, l’ha ottenuto con maggior efficacia attraverso la scrittura.
Del resto gli scrittori devono essere bravi soprattutto nello scrivere, e non nello sproloquiare.
Che tipo di film ho immaginato?
Un film all’italiana, memore dei grandi esempi del cinema del Neorealismo, da “Roma città aperta” a “La Grande Guerra”, da “Paisà” a “La ciociara”, un bel film in bianco e nero, insomma.
E, prezioso valore aggiunto, il libro di Cinzia parla di storie vissute dalla sua famiglia; il racconto che lei ricostruisce, e costruisce, viene da lontano e, nello stesso tempo, da molto vicino, perché a parlarci è il nonno di Claudio, il marito di Cinzia, il bisnonno dei suoi figli.
IL SAPORE DELLE SORBE m’ha suscitato anche memorie personali; ero ragazzo quando mio padre, mia madre, mio nonno, ma soprattutto mia zia, mi raccontavano di come avevano vissuto la guerra, e degli anni che hanno preceduto la guerra.
Mia zia, con un nome fantastico, Fatina, era bravissima nel raccontare, e poteva benissimo anche lei essere una scrittrice, come Cinzia; mi raccontò più volte del terrore provato quando la sirena annunciava i bombardamenti aerei, e tutti dovevano precipitarsi fuori della propria abitazione, e correre a gambe levate verso i rifugi.
Una di quelle volte, correndo in discesa verso il rifugio dell’Uliveto, cadde rovinosamente a terra e ruzzolò per una decina di metri; me lo raccontava ridendo ancora al ricordo.
Ho ritrovato nelle pagine di Cinzia lo stesso sapore, il sapore, appunto delle sorbe e quello, ancora più’ intenso, della vita. Mi ha ricordato mia zia Fatina, perché anche in Cinzia ho sentito con forza un analogo piacere di narrare, ma senza nessun compiacimento, o voglia di stupire; il tutto è riferito con semplicità e verità, perché è tutto assolutamente veritiero, e ci restituisce con grande efficacia una storia passata, che è la nostra storia.
Anche i momenti più drammatici, tragici talvolta, vengono raccontati con discrezione, e con una sorta di dignitoso pudore; le lacrime le senti e ti sembra persino di vederle, ma non vengono ostentate.
Sono veramente fortunati i figli di Cinzia, perché, grazie alla mamma-scrittrice, non sarà perduta per sempre una memoria preziosa che tutti dovremmo conservare e rinfrescare, innanzitutto per non dimenticare, e poi perché questo passato potrà nutrire il presente.
In questi tempi più volte abbiamo assistito a goffi, grotteschi e criminali tentativi di riscrivere la storia, modificarla, negarla e addirittura cancellarla, soprattutto quando si rivela scomoda per i politici di turno, ignoranti e meschini, che hanno il bisogno di intessere bugie per scopi propagandistici di bassa lega.
Chi la storia l’ha vissuta in prima persona, o ha ascoltato le testimonianze di padri, madri, e nonni, non può accettare questo tentativo disonesto di distorcere la verità.
Anche per questo il lavoro di Cinzia Proietti risulta prezioso, intelligente ed onesto; ma il valore del libro non è solo e semplicemente in questo.
IL SAPORE DELLE SORBE è veramente ben scritto ed avvincente; ti appassiona, pagina dopo pagina, tenendoti incollato alle vicende narrate, che abbracciano un ampio arco del Novecento, quello che va dalla Grande Guerra alla Seconda Guerra Mondiale.
Leggerlo è stato come esser seduto sulla poltrona di una sala cinematografica, quando il tempo vola via in un attimo, e, alla fine, ti lascia il sottile e piacevole rammarico di un bel film che è finito troppo presto, e vorresti rivederlo.
Proprio come un film.